Scopo del judo è rendere inoffensivo l’avversario proiettandolo a terra, prendendolo alla gola, bloccandogli le braccia o immobilizzandolo al tappeto per 30 secondi. Questo sport, che deriva dall’antica arte del ju-jitsu, è praticato da giovani e meno giovani di entrambi i sessi.
Si indossa la caratteristica divisa bianca, chiamata judogi, composta da casacca e pantaloni larghi, abbondanti, ma si rimane a piedi nudi. La casacca è allacciata da una cintura il cui colore indica il livello di bravura dello judoka (cosi si chiama il praticante di judo) e va dal bianco per i principianti al nero per il massimo grado (dare) di abilità.
La maniera migliore per imparare è iscriversi a un circolo riconosciuto dalla Federazione Italiana. Non occorre un’idoneità particolare, ma, se non si è più giovanissimi, è bene fare un controllo medico preliminare: fastidi alla schiena o alle ginocchia possono essere aggravati dalla pratica del judo.
Cadute
L’azione principale del judo sta nel proiettare l’avversario, e poiché ogni judoka deve aspettarsi di essere spesso proiettato a sua volta, la prima cosa da imparare è cadere nel modo giusto, cioè servendosi del braccio o della gamba per attutire l’impatto con il suolo. Questo, fra l’altro, aiuta a superare la paura di essere proiettato.
Le norme per cadere bene sono: rotolare su sé stessi il più possibile; un attimo prima di toccare il tappeto, colpire con forza il tappeto stesso col braccio libero per attutire l’impatto; rientrare il mento, puntandolo verso il petto (bisogna dirigere lo sguardo al nodo della cintura) per evitare di battere per contraccolpo la testa (vedi le prime due illustrazioni in alto a pagina seguente).
Proiezioni
Dopo che si è appresa l’arte di cadere bene, si possono imparare alcune proiezioni fondamentali. Più che la forza fisica, sono importanti la posizione e la tempestività. È essenziale sbilanciare l’avversario. I tipi di proiezione dipendono dalle occasioni che si presentano, ma tre di esse — o-soto-gari, ippon-seoi-nage e ko-uchi-gari — sono quelle essenziali per un principiante.
O-soto-gari (grande falciata esterna)
Portarsi vicino all’avversario appena questi avanza il piede destro e, con la mano destra, afferrargli il risvolto della casacca più o meno all’altezza della clavicola. Portare la mano sinistra sul suo braccio destro, afferrando la casacca per la manica.
Ora, tirare all’ingiù col braccio sinistro e spingere all’insù con la mano destra, in modo da sbilanciare l’avversario, che si troverà ad avere come punto d’appoggio solo il tallone destro. Nello stesso tempo, fare un piccolo passo avanti col piede sinistro e avanzare verso l’avversario fin quando il proprio torace tocchi il suo.
Slanciare la gamba destra oltre la gamba destra dell’avversario, poi ritirarla di scatto, in modo che la parte posteriore della coscia destra tocchi la parte posteriore della sua: la gamba dell’avversario verrà così a perdere il punto d’appoggio sul terreno. Durante il movimento della gamba destra, inclinare di scatto il tronco in avanti.
Ippon-seoi-nage (proiezione a un braccio sopra la spalla)
Avendo l’avversario di fronte, afferrargli saldamente con la mano sinistra la manica destra, vicino al gomito, e avanzare diagonalmente a sinistra il piede destro. Fare eseguire al piede sinistro un arco di cerchio all’indietro, in modo da voltare le spalle all’avversario, piegandosi leggermente sulle ginocchia; nello stesso tempo, slanciare il braccio destro in alto, al di sotto dell’ascella destra dell’avversario. Il proprio bicipite destro deve essere nell’incavo della sua ascella: tirando ora verso il basso con la mano sinistra, il braccio destro dell’avversario sarà strettamente intrappolato, cosa essenziale per la riuscita della proiezione.
Mettendosi in posizione per la proiezione, piegare le gambe e spingere in fuori il fianco destro. Tirare con le braccia in avanti e in basso, piegare il corpo in avanti, irrigidire le gambe e “scaricare” l’avversario, facendolo passare sopra il dorso e la spalla destra.
Ko-uchi-gari (piccola falciata interna)
È una veloce tecnica di sgambetto, da impiegare quando l’avversario abbia le gambe più divaricate del normale. Con la mano sinistra afferrargli la manica destra all’altezza del gomito, e con la mano destra la casacca all’altezza della clavicola.
Spostare i piedi in modo da ruotare leggermente a sinistra; poi slanciare fra le gambe dell’avversario il piede destro, che dovrà essere ritirato di scatto con la pianta rivolta verso il tallone destro dell’avversario, colpendolo: il suo piede ne risulterà falciato verso l’avanti. Con entrambe le mani spingere in avanti e verso il basso, sbilanciando cosi l’avversario: accompagnare il movimento col peso del corpo spingendo l’avversario al tappeto. Fare attenzione a non cadere sopra di lui.
Prese a terra
Nel judo da competizione una presa a terra può significare la vittoria: infatti è sufficiente che l’avversario sia immobilizzato, schiena a terra, per 30 secondi.
Un’immobilizzazione fondamentale è il kesa-gatame (presa a fascia diagonale). Sedersi all’altezza dell’ascella destra dell’avversario, supino a terra. Bloccargli saldamente il braccio destro e la testa (vedi ultima illustrazione in basso a destra). Allargare le gambe.
Prese alle braccia e prese di strangolamento, impiegate per costringere l’avversario alla resa, devono essere imparate ed eseguite direttamente sotto il controllo di un esperto. Soprattutto le prese di strangolamento possono essere pericolose. Per questo motivo molti istruttori ritengono opportuno non insegnarle ai minori di 16 anni.
Per significare la resa, bisogna battere con una mano due volte il tappeto o l’avversario: questi dovrà immediatamente lasciare la presa.